Si fa presto a dire dialogo

“Si fa presto a dire dialogo”, ha commentato qualcuno, sull’onda delle polemiche che hanno portato all’annullamento dell’incontro con l’Imam Kamel Layachi in una scuola del bellunese. Come a dire che in teoria è facile ma poi, nella pratica, il dialogo non è poi così semplice.

E allora come si fa a “fare dialogo”? L’ho chiesto a Kamel, proprio nel giorno in cui avrebbe dovuto incontrare i ragazzi di Agordo. Era appena stato ospite di Radio Belluno, dove, insieme a Don Francesco Santomaso, vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi, aveva riaffermato la necessità di dialogare, superando i muri e la cultura di diffidenza e sospetto, contro ogni forma di estremismo e violenza.

Il dialogo non è una teoria sociale”, mi ha detto, davanti a un tè caldo. “Non si esaurisce nella creazione di un clima di stima, fiducia e ascolto, ma è una pratica che sperimentiamo tutti i giorni, attraverso l’incontro e la collaborazione”.

A forza di parlare e discutere di dialogo, non ci rendiamo conto che non solo è possibile, ma è già realtà. Si fa dialogo con un “buongiorno”, o un sorriso, mangiando un gelato con un amico, giocando a calcio nella stessa squadra. “Dialogo significa non essere indifferente. E’ il primo passo, che ci consente di passare dall’estraneità, alla tolleranza, fino al riconoscimento dell’altro”, sostiene Kamel, che si occupa da anni di dialogo interreligioso.

Questo avrebbero imparato quei ragazzi a cui è stato negato un importante momento di crescita e confronto. Avrebbero imparato che dialogare significa “vivere insieme esperienze con uno scambio di emozioni” e che nel dialogo interreligioso ci sono valori comuni, trasversali. Avrebbero capito che la diversità non rappresenta una minaccia, ma una ricchezza, e che “non vi sono possibilità di crescita per una comunità “assediata”, pervasa dalla paura”.

Kamel lo chiama “dialogo della vita”, “dialogo dei piccoli gesti”. A chi mi ripete che “si fa presto a dire dialogo”, oggi rispondo che si fa presto, sì, a dire dialogo, ma si fa prima a “fare dialogo”.

Marcia di fraternità per l'unità tra i popoli

Un momento della Marcia di fraternità per l’unità tra i popoli, a Belluno l’8 dicembre 2015

 

Di questo e di molto altro abbiamo parlato, nell’intervista per Ghigliottina.it

La realtà in cui viviamo è cambiata e si trasforma velocemente”, commenta Kamel Layachi, responsabile del Dipartimento di formazione e dialogo interreligioso del Consiglio delle relazioni islamiche italiane. “Nella stessa classe ci sono studenti di culture, etnie, religioni diverse. Sono l’Italia del futuro. È assurdo oggi alzare dei muri: è il momento di attrezzare questi ragazzi per confrontarsi con la diversità in maniera serena e rispettosa. La tragedia del terrorismo e dell’estremismo non è una guerra tra religioni, né una guerra tra l’Islam e l’Occidente o dell’Occidente contro i musulmani, ma è una guerra di bande criminali che vogliono colpire l’umanità intera. È una tragedia collettiva, comune, che richiede una responsabilità comune”.

Da anni incontra i ragazzi delle scuole. Le era mai successo di vedere annullato un suo incontro?

Questa è la prima volta, e la risposta del territorio è stata immediata, con espressioni di solidarietà non solo nei miei confronti, ma anche verso i ragazzi e la scuola. In molti si sono indignati per la chiusura mentale e per le strumentalizzazioni, perché di questo si è trattato. Non sono mai stato in una scuola a fare proselitismo e non mi permetterei mai di farlo. Ho grande rispetto per l’educazione e la formazione dei giovani e ho sempre sottolineato valori comuni, invitando i ragazzi a conoscersi a vicenda e ad andare contro il pregiudizio.

Dopo l’annullamento dell’incontro ha ricevuto molte manifestazioni di solidarietà: lettere da parte di genitori, un sondaggio tra gli studenti, una petizione online per esprimere lo sdegno verso le strumentalizzazioni politiche. C’è una dimostrazione di solidarietà che l’ha colpita particolarmente?

Mi ha commosso un messaggio di mio nipote, che mi ha detto di aver risposto ai post di Matteo Salvini, definendo il suo comportamento ingiusto nei miei confronti. Nelle sue parole ho sentito il disagio di tanti giovani, che hanno visto nell’atteggiamento di chiusura una violenza verso di me, verso il territorio e le generazioni del futuro. L’ho incoraggiato a non cadere nel vittimismo e ad andare oltre, poiché la stragrande maggioranza è favorevole all’incontro, come dimostra la grande solidarietà, che va soprattutto ai ragazzi della scuola, privati del diritto alla conoscenza.

Come ha reagito all’accaduto?

Non mi fermerò, perché sento che tutti dobbiamo dare il nostro contributo per educare bene i nostri ragazzi, che sono di fedi, culture, etnie diverse e hanno bisogno di sentirsi cittadini dello stesso Paese. Su questo continuerò a impegnarmi, insieme ai rappresentanti di altre religioni. In diverse scuole e città ho condiviso con sacerdoti e rabbini incontri interculturali e interreligiosi di altissimo livello, su temi come la pace, il dialogo, la non-violenza, ma anche su temi etici. Credo che ascoltare il punto di vista di religioni diverse sia un momento di crescita per i ragazzi, che sono sempre interessati e curiosi, con domande profonde. Sono molto più disponibili degli adulti e vogliono raccontarsi e raccontare piccole esperienze di dialogo.

Si parla di un incontro pubblico ad Agordo, in aprile. Cosa ne pensa?

Non so ancora se ci sarò. Se il clima è volto all’ascolto, sarò lieto di partecipare. Spero sia così, perché sono molto legato a Belluno. La vicenda di Agordo non riassume la realtà sociale del Nord Italia, del Veneto, o di Belluno, dove ci sono bellissime esperienze di incontro e collaborazione di fedeli di religioni diverse. Bisogna dare visibilità a queste iniziative. La lettera aperta di una mamma e le tante reazioni positive e pacate dimostrano che ad Agordo esiste una coscienza civile collettiva, che è il momento dell’apertura.

Sono nato ad Ippona – oggi Annaba – la città di S. Agostino, e ho respirato il dialogo sin da bambino. Ci tengo a continuare questo cammino insieme, sui valori che ci accomunano.

Un’occasione sprecata

Un’occasione sprecata

Era previsto per oggi l’incontro con l’Imam Kamel Layachi alla scuola media “Pertile” di Agordo. Avrebbe dovuto incontrare i ragazzi, nell’ambito di un progetto per favorire il dialogo e la conoscenza reciproca. E invece, in seguito alle tensioni provocate dalle strumentalizzazioni di una politica becera e ignorante, l’incontro è stato annullato e i ragazzi hanno perso una preziosa occasione di confronto.

Ho saputo delle prime proteste dei genitori, contrari all’intervento dell’Imam, mentre mi trovavo a Venezia, all’Istituto di Studi ecumenici “S. Bernardino”, per un corso di formazione per giornalisti sul pluralismo religioso in Italia. Ho provato rabbia e amarezza, ma ho aspettato qualche giorno prima di condividere il mio pensiero sull’accaduto, affidato alla riflessione Se Maometto va alla montagna, pubblicata su Ghigliottina.it

San Francesco e il sultano

San Francesco e il Sultano Malik el Kamil

C’è un che di curioso nei cristiani d’Occidente quando si tratta di rapporti con l’altro, con il diverso. Soprattutto se l’altro è di fede islamica. Chiediamo a gran voce che i musulmani prendano le distanze dagli atti di terrorismo, ci aspettiamo che escano dalle moschee e che aprano le porte dei centri di preghiera, perché vogliamo sapere cosa dicono e cosa fanno là dentro. Ma quando escono e bussano alla nostra porta, per far conoscere la loro cultura e la loro fede, non ci sta bene ed ecco che chiudiamo le porte e li rimettiamo al loro posto.

Proprio come è successo ad Agordo, tra le Dolomiti bellunesi, dove è stato annullato l’incontro con l’Imam Kamel Layachi, responsabile del Dipartimento di formazione e dialogo interreligioso del Consiglio delle relazioni islamiche italiane. L’Imam, invitato dai docenti, avrebbe dovuto incontrare gli studenti della scuola secondaria di primo grado martedì 8 marzo, in presenza dell’insegnante di religione cattolica, nell’ambito di un progetto di educazione alla mondialità, pace e solidarietà. L’iniziativa, approvata dal dirigente scolastico e vista con favore anche dall’arcidiacono di Agordo, dal sindaco e dal parroco, è stata però interpretata come un tentativo di indottrinamento da alcuni genitori, che hanno protestato all’idea dell’Imam che “sale in cattedra”, come ha titolato la stampa locale.

Alla levata di scudi di qualche genitore su Facebook, si è aggiunta la voce dell’assessore regionale all’istruzione Elena Donazzan, della giunta leghista di Luca Zaia, pronta a fare di tutto pur di annullare l’iniziativa. E così è stato. L’incontro è stato annullato e quei genitori staranno probabilmente esultando, fieri di aver difeso il territorio dall’avanzata dello straniero, di aver protetto i propri figli dalle insidie dell’Islam. Chissà se si renderanno mai conto di aver privato gli studenti di un’importante occasione di crescita e di formazione e degli strumenti per comprendere e interpretare il mondo che li circonda.

Ancora una volta, ha prevalso l’ignoranza, quell’ignoranza che genera paura, odio, pregiudizi e stereotipi. La stessa di cui si alimentano estremismi e fondamentalismi, ma anche un certo tipo di (dis)informazione che parla alla pancia della gente, di un giornalismo che strumentalizza e si presta a strumentalizzazioni affiancando, sulle stesse pagine, l’intervento dell’Imam a scuola, la minaccia dell’Isis e l’“emergenza profughi”, in un territorio in cui non c’è nessuna emergenza.

Oltre alle responsabilità dei media, la vicenda di Agordo solleva anche altre questioni, come il ruolo della scuola e l’insegnamento della religione cattolica, ma ci ricorda soprattutto che oggi siamo di fronte a un pluralismo religioso che ci offre infinite possibilità di incontro e di conoscenza, non solo delle religioni altrui, ma anche della religione cristiana e della storia del nostro Paese. Un’Italia in cui, secondo uno studio curato dal sociologo Franco Garelli nel 2011, l’86% della popolazione si dichiara cattolico, ma solo il 26,5% prende parte regolarmente alla celebrazione eucaristica e solo l’8-10% è coinvolto attivamente nelle parrocchie.

Lo sapranno quei genitori che uno fra i più grandi gesti di dialogo tra Islam e Cristianesimo avvenne in piena epoca di crociate? Era il 1219 quando Francesco d’Assisi incontrò il Sultano di Egitto Malik el Kamil, a Damietta, a pochi chilometri dal Cairo, in un incontro che Francesco aveva fortemente voluto e che ha tuttora un profondo significato storico e religioso.

E mentre a Belluno scoppiava la polemica, a Venezia il teologo Brunetto Salvarani e il sociologo Enzo Pace incontravano i giornalisti veneti per parlare di pluralismo religioso in Italia. “Qualsiasi dialogo non presuppone l’annullamento dell’identità di una delle due parti coinvolte”, osservava Salvarani, invitando alla riflessione sulla necessità di camminare insieme e recuperare la dimensione di cammino di cui parla anche Papa Francesco.

“Non a caso”, dice il teologo laico, “camminare era quello che faceva Gesù nel suo ministero itinerante. E non a caso, quello che faceva Francesco d’Assisi era camminare per le città, parlare con i suoi discepoli, i suoi confratelli”.